di mons. Michele Pennisi
La certezza che l’amore di Dio è più forte della morte, è il fondamento della nostra speranza. Papa Francesco, richiamandosi alla mitologia greca insegna: “Se gli uomini non avessero coltivato la speranza, se non si fossero sorretti a questa virtù, non sarebbero mai usciti dalle caverne, e non avrebbero lasciato traccia nella storia del mondo. E’ quanto di più divino possa esistere nel cuore dell’uomo”. Si dice abitualmente che “se c’è vita, c’è speranza“. In realtà è il contrario. È la speranza che tiene in piedi la vita, che la protegge, la custodisce e la fa crescere.
La Pasqua di quest’anno porta con sé tante speranze insieme a tante incertezze e sofferenze, legate ancora alla pandemia e alle sue conseguenze in campo psicologico, sociale e religioso, che stiamo sperimentando da circa due anni. A queste si aggiungono i drammi della guerra in Ucraina e in altri paesi e le molteplici povertà vecchie e nuove. Per sentirci tutti fratelli e sorelle siamo chiamati ad essere portatori di speranza e operatori di pace, a stare vicini alle sofferenze delle vittime di tutte le guerre, ad aprirci alla solidarietà e all’accoglienza nei confronti dei profughi ucraini e di tutte le persone costrette a lasciare la loro patria a causa di guerre, persecuzioni e calamità naturali.
La Settimana Santa quest’anno è iniziata con la tradizionale festosa processione della Domenica delle Palme nella quale Gesù entra a Gerusalemme su un asino come un Re pacifico! Gesù non viene come un re potente su un cavallo di battaglia, ma come un umile servo, come un Re giusto che fa sparire i carri da guerra e che annuncia la pace alle nazioni. Tutti i cristiani siamo chiamati a elevare forte il grido di pace e giustizia in Ucraina e nel mondo intero per le vittime innocenti delle guerre. Con Gesù diciamo basta all’uso delle armi perché “quelli che prendono la spada, di spada moriranno” (Mt.25,52). La Pasqua per noi cristiani è la festa del perdono, della riconciliazione, della pace sulla terra e del superamento dei conflitti e delle violenze.
Questa festa centrale della fede cristiana celebra due aspetti della vicenda Gesù che, come le due facce di una moneta, sono tra loro inscindibili: la passione e la risurrezione. Il processo di Gesù e la sua passione continuano. La sua condanna è rinnovata da chiunque, abbandonandosi al peccato e scegliendo la violenza, non fa che prolungare il grido: “Non costui, ma Barabba! Crocifiggilo”! Sta a noi scegliere in che veste vogliamo entrare nella storia della passione di Cristo: se nella veste del Cireneo che si affianca a Gesù, spalla a spalla, per portare con lui il peso della croce; se nella veste delle donne che piangono su Gerusalemme e di Maria che sta silenziosa accanto alla croce; o se vogliamo entrarvi nella veste di Giuda che lo rinnega o di Pietro che lo tradisce; oppure di Pilato, di Erode e dei Sommi sacerdoti che attraverso una assurda alleanza fra trono e altare uccidono il Figlio di Dio.
Durante la Settimana santa, con le solenni celebrazioni liturgiche e con le tradizionali processioni e pratiche della pietà popolare non commemoriamo un morto, ma professiamo la nostra fede in Gesù Cristo morto una volta ma risorto per sempre. Nel VI sec a.C. Eraclito sosteneva che “senza la speranza è impossibile trovare l’insperato” (frammento 18). Lo stesso filosofo giungeva alla sorprendente conclusione espressa nel frammento 27: “Dopo la morte attendono gli uomini cose che essi non sperano e neppure immaginano”, che introduceva nel pensiero antico la prospettiva di una vita ultraterrena.
Nonostante il momento drammatico che stiamo attraversando noi cristiani siamo chiamati a “sperare contro ogni speranza” (Rm 4,18) come scrive san Paolo ai Romani. Questa speranza non è solo per i vivi ma anche per coloro che sono morti. Lo stesso Paolo ha scritto: “Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto! Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione vuota anche la vostra fede” (1Cor 15, 13-14). Commentando questo testo il teologo evangelico Dietrich Bonoeffer scrive: “Se Cristo non è risorto, il punto d’appoggio che regge tutta la nostra vita vacilla e tutto si infrange; la nostra vita declina verso il non senso. Ogni discorso che ha per oggetto Dio è illusorio, ogni speranza evanescente”. Gesù Cristo Crocifisso e Risorto mantiene nell’esistenza tutte le cose e come Luce del mondo illumina i momenti bui della nostra vita con il suo splendore divino. E’ fonte di speranza per noi e per tutta l’umanità. La luce di Gesù Cristo Risorto illumina la vita di ognuno di noi, ci rinnova nello Spirito e porta la speranza di un futuro di libertà, giustizia e pace al mondo intero.
FONTE: https://www.interris.it/editoriale/cosa-significa-celebrare-quest-anno-triduo-pasquale/