Filosofia. Solo le mani sporche sono capaci di amare.
Uscire dalle sicurezze dell’io per aprirsi agli altri, mettere alla prova le idee: un libro di Del Soldà sul
Un saggio di filosofia narrativa, cioè riflessioni e ragionamenti filosofici narrati sotto forma di racconto, di storie di personaggi noti e meno noti, classici della filosofia, storici e geografi, dove le idee dei pensatori si intrecciano con i dialoghi dei personaggi delle loro opere. Non sono racconti semplici, ma anche i concetti più densi vengono addolciti dalla bella prosa e dall’ottimo ritmo narrativo. Il primo capitolo è molto suggestivo, ma per gustarlo con profitto andrebbe riletto dopo essere arrivati alla fine del libro, perché le varie storie narrate contengono idee e dettagli che consentono di capire e apprezzare le tre coordinate del saggio: schiacciati sul presente, l’io tiranno, la trappola delle aspettative. Questo primo capitolo contiene poi delle frasi particolarmente efficaci, che nutrono l’intero saggio.
Tra queste una domanda che è anche la prima coordinata per orientarci nel viaggio: «Possiamo sottrarci all’egemonia dell’Io, che ci tiene ‘al sicuro’ dentro il suo guscio privato e sopprime il desiderio d’altrove?». Coi libri che ci coinvolgono nel profondo ci si sente avvolti da un continuo flusso di emozioni. In queste letture non ha molto senso quindi domandarsi dove si trovi il centro drammatico del testo perché ogni capitolo termina lasciandoci il forte desiderio di continuare la lettura.
Così dopo essersi immersi nella battaglia di Maratona narrata da Erodoto, vinta dai greci perché ebbero la capacità di uscire e andare incontro ai persiani in campo aperto (il loro vero nemico non era Dario ma la tentazione della stasis), ci sembra di aver capito tutto dell’uscire fuori di sé e dell’avventura. E invece l’avventura continua con le imprese di Platone a Siracusa commentate dalla sua (forse) stupenda Lettera Settima, un’altra ‘uscita’ dalle parole verso l’azione politica, e lì scoprire che «l’avventura filosofica e l’avventura politica sono la stessa avventura». Quindi la storia e le storie straordinarie di Kapuscinski che si intrecciano con Le storie di Erodoto. E poi ancora Montaigne e la cattiva maestra ’abitudine’, i viaggi di Von Hum- boldt, figura molto simpatica a Del Soldà, e le avventure dell’unica donna protagonista del libro: Isabelle Eberhardt. Il picco narrativo è forse nel capitolo dedicato a Le Mani sporche, la grande e controversa opera teatrale di J.P. Sarte rappresentata a Parigi nel 1948. La storia del suo protagonista, Hugo Berine, serve a Del Soldà per svelarci la propria filosofia dell’avventura.
Quel giovane intellettuale, borghese e comunista, sente di vivere «dentro una scenografia », in un mondo di parole, ed è attratto dall’azione politica, dall’idea di lasciare il suo mondo di carta ed entrare nel mondo vero. Commenta Del Soldà: «Finché non ci si avventura nella vita vera, finché non s’infrange quel maledetto diaframma che separa le parole dalle cose e che isola l’intellettuale disimpegnato, non c’è nulla che valga la pena d’esser vissuto». Una frase il cui senso dipende da cosa intendiamo per ‘intellettuale disimpegnato’, perché se il solo impegno dell’intellettuale fosse quello politico, escluderemmo dalla vera avventura molti poeti e troppi artisti, e faremmo male. Un dialogo centrale di Le mani sporche è quello tra Hugo e Hoederer, il capo del partito proletario, che poi Hugo finirà per uccidere e così uscire dalla scenografia e iniziare a vivere davvero: «Hugo: ‘Sono entrato nel Partito perché la sua causa è giusta, e ne uscirò quando cesserà di esserlo. Quanto agli uomini, non m’interessa quello che sono, ma quello che potranno diventare’. Hoederer: ‘Tu non ami gli uomini, Hugo, tu non ami che i princìpi… Io invece, amo gli uomini per quello che sono, con tutte le loro porcherie e tutti i loro vizi… La tua purezza assomiglia alla morte’».
La storia vera sporca le mani, e questa sporcizia buona ci fa più umani. Il mondo delle ideologie, atee e cristiane, è pieno di mani pulite che non amano nessuno veramente, ma solo principi e idee, anche quando queste idee e principi si chiamano Gesù e Dio: se l’amore per gli esseri visibili non diventa sporcarsi le mani nelle fogne e nei peccati umani, è autoinganno e illusione perfetta. Molto forti, belle e tremende sono le pagine di De Soldà sulle due grandi categorie di Sartre, rilette e inserite creativamente nel suo discorso: l’engagement e lo scacco ( echec).
Nessuna impresa si compie, perché l’incompiutezza è semplicemente la condizione umana: Mosè non entrò nella terra promessa, il liberatore dalla schiavitù vide il popolo attraversare il Giordano ma lui terminò la vita fuori della terra che aveva sognato e per la quale si era impegnato per tutta la vita, in uno scacco tanto immenso quanto generativo di futuro. Leggendo il libro nasce fin dalle prime pagine l’attesa di un protagonista che dovrebbe esserci e non arriva: l’Ulisse dantesco. Arriva solo alla fine, ma per essere subito superato da un Ulisse, altrettanto grande e figlio dell’Ulisse di Dante: quello di Nikos Kazantzakis. Anche il suo Ulisse, una volta tornato a Itaca, riparte per un ultimo viaggio, esce da sé, dopo aver detto ai compagni del suo folle volo queste parole: «Fate scivolare la nave in mare prima dell’alba, poi salutate la patria, ditele addio per sempre… perché all’alba partiamo per il viaggio senza ritorno». Nelle ultime righe Del Soldà dona a Ulisse nuovi compagni: «Piace pensare che a bordo ci siano posti e viveri per il vecchio Erodoto, per Platone non più diretto a Siracusa, per Hugo Marine, per il buon Montaigne, per Alexander Von Humboldt, per Isabelle Eberardt, per Kapuscinski, per Corto Maltese e per tutti coloro che sono convinti d’avere nell’avventura il proprio destino».
Fonte : https://www.avvenire.it/agora/pagine/solo-le-mani-sporche-sono-capaci-di-amare